Amerai – Matteo 22,34-40


XXX domenica del Tempo Ordinario

In quel tempo, i farisei, udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, qual è il più grande comandamento della Legge?”. Gli rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti”.

Amerai. Il duplice comandamento di Gesù si apre con il futuro del verbo amare.
Amerai. É un progetto, un desiderio, una direzione, una forza.
Amerai. Nella giungla dei comandamenti e precetti c’è un punto fisso, un asse di gravitazione che dà ordine e consistenza a tutto: l’amore.
Nessun comandamento e precetto ha senso al di fuori dell’amore.

Nonostante la figuraccia con la moneta di Cesare, gli avversari del maestro ci ritentano. Vogliono incastralo.

Tutti sapevano che il comandamento più importante della Legge era il riposo del sabato, l’unico comandamento osservato da Dio stesso (cf Es 20,11; Gen 2,3). L’obbedienza a questo precetto equivaleva all’adempimento di tutta la Legge e la sua trasgressione era punita con la morte (cf Es 31,14). Infatti, la prima volta che nel vangelo di Matteo i farisei stabiliscono di condannare Gesù a morte, è proprio in conseguenza della violazione del comandamento del sabato (cf Mt 12,14). Gli avversari di Gesú vogliono solo una conferma, hanno giá scritto la sua condanna.

Gesú sorprende e rimescola le carte: al centro c’è amore.
Non il riposo, ma l’amore.
«Amerai» è un invito, una direzione, un cammino.
«Amerai» è una frustata secca al nostro cuore congelato, alle nostre liturgie monotone e superficiali, alle nostre passioni avvizzite.
«Amerai» è un futuro, perché senza amore non ci sarà futuro.

Un abbraccio
Don Roberto

Piccolo gregge – Luca 12,32-48

XIX domenica del Tempo Ordinario

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Mi commuovono le parole del maestro: «Non temere, piccolo gregge». Questo “piccolo gregge” siamo noi, la sua Chiesa. Mi sembra una definizione proprio bella, che fotografa esattamente quello che siamo e che stiamo vivendo, anche se forse non ce ne rendiamo ancora conto. Dobbiamo mettere da parte i sogni trionfalistici di una Chiesa potete e di un cristianesimo avvolgente e totalitario, siamo un “piccolo gregge”. E mi viene da dire, sotto voce: meno male. La storia, guidata dalla mano del Padre, ci chiama ad essere una Chiesa senza potere e prestigio, piú agile e povera, che parla la lingua della gente e sa ascoltare, capace di trasmettere passione e speranza.
Non temere, ci dice il maestro. Essere discepolo per davvero è difficile, oggi piú che mai. Vivere secondo il Vangelo richiede una fede matura e libera, una adesione incondizionata allo Spirito profetico di Gesú.
Non dobbiamo temere, dice Gesú, perché il Padre ci ha affidato il Regno. Alle nostre mani fragile e insicure, il Padre ha affidato il suo tesoro.
Dove due o tre sono riuniti nel suo nome è presente il Regno.
Dove si lotta affinché tutti possano vivere una vita dignitosa è presente il Regno.
Dove si accompagnano con amore le vittime dell’odio e della violenza è presente il Regno.
Dove si accoglie il fratello e si vive con le porte aperte è presente il Regno.
Dove si cammina a fianco dei poveri e dei piccoli è presente il Regno.
Dove si cerca di vivere la vita secondo i valori del Vangelo è presente il Regno.

È vero, siamo un piccolo gregge, ma abbiamo un grande Pastore che ha dato la sua vita per noi e ci ha insegnato il segreto del Regno del Padre suo: l’amore.

Insegnaci a pregare – Luca 11,1-13

XVII domenica del tempo ordinario

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Molte volte, dopo giornate intense di incontri, colloqui, celebrazioni e visite alle comunità della missione, mi ritaglio uno spazio di silenzio e di preghiera nella piccola cappella della casa parrocchiale. Faccia a faccia con il maestro. Nelle sue mani travaso le storie che la gente mi affida, i dolori, le cicatrici, i desideri e i sogni… Mi metto davanti a Lui a mani vuote e ripeto la preghiera dei discepoli: Signore, insegnami a pregare. Come i dodici, anch’io mi scopro incapace di pregare, di stare alla sua presenza. Mi affido al silenzio, ascolto, balbetto qualche parola dei Salmi, mi lascio sfiorare dallo Spirito e ripeto: Signore, insegnami a pregare.
Rileggo la parabola che il maestro propone a conclusione del Padre Nostro. Normalmente, commentando questo testo, si sottolinea l’importanza della perseveranza nella preghiera. Certo, giusto e santo. Ma mi sembra che Luca voglia sottolineare anche un altro aspetto: la certezza di essere ascoltati. La perseveranza nella preghiera si fonda sulla certezza che il Padre del cielo ci ascolta, ci accoglie e ci ama.
La parabola, dunque, ci insegna uno degli ingredienti piú importanti della preghiera: pregare è stare davanti ad un Padre che ci ama e ci accoglie, è stare alla presenza di un interlocutore amorevole, attento, disponibile. Pregare è gustare una presenza, ascoltare una voce amata, affidare e confidare, scoprire che la nostra miseria è la misura della sua misericordia.
Signore, insegnaci a pregare.

Di una sola cosa c’è bisogno – Luca 10,38-42

XVI domenica del tempo ordinario

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

Marta e Maria, le sorelle di Betania, sono immagine dei due polmoni che dovrebbero ossigenare la vita di ogni discepolo, di ogni comunità e della chiesa intera. In ognuno di noi dovrebbero convivere e armonizzarsi la contemplazione e l’azione, l’ascolto e il servizio. Vediamo piú da vicino il testo.
Maria è la sorella che si siede ai piedi del maestro e ascolta la Parola. Secondo la cultura del tempo, erano gli uomini a incaricarsi di accogliere e intrattenere gli ospiti, le donne dovevano stare nascoste in cucina. Se Gesù fosse stato un Rabbí fedele alle tradizioni degli uomini, avrebbe dovuto rifiutare categoricamente di sedersi con una donna e annunciarle la Parola. Ma sappiamo bene che Gesú è un maestro libero dalle etichette e dalle tradizioni degli uomini. Maria si siede ai suoi piedi, ha scelto la parte migliore, ha scelto di stare con Gesú, di ascoltare la sua Parola.
Marta è la sorella che si crede la “regina della casa”, non a caso è la patrona delle casalinghe. E qui bisogna chiarire subito una cosa importante: Gesú non critica Marta per quello che sta facendo, ma per come lo sta facendo. Marta è distratta, affannata e agitata. Le parole del maestro sono affettuose, ma allo stesso tempo decise. Marta si agita, si preoccupa, va in ansia per il suo servizio, perde di vista ciò che è davvero importante. Qui sta l’affondo di Gesù: il servizio, il fare, l’azione diventano pericolosi quando ci distolgono dal centro, quando ci fanno perdere di vista ciò che davvero conta.
A questo punto è chiaro che Gesú non vuole contrapporre l’atteggiamento delle due sorelle, ma chiarire che il servizio e l’ascolto devono integrarsi nella vita del discepolo mettendo al centro la presenza di Gesú, contemplazione e azione sono i due polmoni che ci permettono di alimentare la nostra vita di discepoli.

Don Roberto Seregni

Il Regno di Dio è vicino – Luca 10,1-12 .17-20

XIV domenica del tempo ordinario

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

È quasi sera. Rientro verso la casa della missione dopo una giornata passata nel centro di Lima nel tentativo di risolvere alcuni problemi con i miei documenti. Il bus, come sempre, è strapieno e avanza a singhiozzi in mezzo alla giungla del traffico della capitale. Ad ogni fermata salgono venditori e cantanti che cercano di racimolare qualche moneta con i loro prodotti o con la loro arte. Ho ancora davanti agli occhi un vecchietto tutto curvo che cammina a stento. In mano un sacchetto di caramelle al limone. Nonostante le continue frenate, si avvicina a tutti i passeggeri offrendo una delle sue caramelle. Qualcuno fa finta di non vederlo, altri offrono qualche monetina. Quell’uomo, così semplice e povero, davanti a chi lo aiuta con una piccola offerta, recita a memoria una bellissima benedizione muovendo il sacchetto delle caramelle come se fosse un piccolo turibolo ricolmo di incenso profumato.

Mentre leggo e medito questo testo del Vangelo, non posso togliermi dalla testa l’immagine di quell’uomo che benedice e incensa i passeggeri di un bus sgangherato nel traffico di Lima. Sono convinto che anche il suo nome è scritto nei cieli insieme a quello di tutti gli uomini e le donne che sono stati crocifissi con Cristo e hanno scelto la strada della benedizione. Un esercito di fratelli e sorelle appassionati del Regno, che con la loro vita hanno mantenuto viva e palpitante la fede in Gesù di Nazareth. Uomini e donne spogliati di tutto, ma non della loro dignità di figli amati.
È vero: Gesù vuole discepoli nudi, spogli di ogni scurezza materiale. La loro unica ricchezza è quell’uragano di passione che riempie la loro vita, è la fiducia totale nell’amore del Padre. Camminano come agnelli in mezzo a lupi, sanno che possono essere sbranati da un momento all’altro. Lo sanno bene, ma soprattutto sanno che il Signore cammina con loro e li invia ad annunciare che il Regno è vicino. Niente e nessuno può distrarli da questa missione. Un esercito immenso chiamato ed inviato ad annunciare che con Gesù la vita può essere diversa, che non siamo condannati alla mediocrità, che possiamo essere uomini e donne felici, che ognuno di noi ha una missione unica e speciale.

Don Roberto Seregni

Seguimi – Luca 9,51-62

XIII domenica del tempo ordinario

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Leggendo con attenzione le prime righe di questo brano evangelico, è evidente che l’inizio del cammino di Gesù verso Gerusalemme è segnato dal rifiuto e dall’ incomprensione. Rifiutato dai Samaritani e incompreso dai suoi stessi discepoli, il maestro non si scompone nemmeno un po’ e, senza fare una piega, continua il cammino verso Gerusalemme. Ripenso spesso a questo episodio della vita di Gesù. Davanti a una porta chiusa, a una derisione, a una incomprensione, il discepolo non deve fare la vittima e piangersi addosso, ma sentirsi unito al maestro, portare la croce insieme a lui senza tentennamenti o lamentele. Gesù ci ha avvertiti: vi mando come agnelli in mezzo ai lupi!

Lungo questo cammino avvengono tre incontri, tre brevi dialoghi accumunati dal tema della sequela e dalla sua radicalità. Dei tre interlocutori non sappiamo nulla: né la loro identità, né la loro scelta definitiva. Tutto è centrato sulle esigenze della vita del discepolo e sulla serietà della missione. Luca ci sta preparando al brano dell’invio dei settantadue che ascolteremo la prossima settimana.
Nel primo incontro si sottolinea che il discepolo è esposto alla precarietà e all’insicurezza. Il Signore ci chiama allo sbaraglio, ci punzecchia, vuole svegliarci dal nostro letargo spirituale e iniettare nelle arterie un po’ di sana inquietudine evangelica.
Il secondo dialogo vuole invece ricalcare il primato assoluto del Regno di Dio nella vita del discepolo. La risposta di Gesù è assolutamente scandalosa: come si può non dare sepoltura al proprio padre? Ma il maestro, come in molte altre occasioni, vuole darci uno scossone. Gesù esagera, lo sa che ne abbiamo bisogno. C’è un primato da stabilire nella vita del discepolo. Niente, nemmeno la sepoltura del padre, può venire prima dell’annuncio del Regno di Dio.
Il terzo colloquio di Gesù è per gli eterni indecisi, per chi rinvia sempre, per chi fa un passo in avanti e due indietro, per chi vive di nostalgie per quello che ha lasciato e non si permette di gustare la novità, per chi vede passare molti treni e non si decide a sceglierne uno. Il Vangelo chiede coraggio e decisione, il Regno di Dio è allergico ai tentennamenti e agli indugi.

Tutti mangiarono – Luca 9,11-17

Santissimo Corpo e Sangue di Gesù

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Mentre in molti cercano già di scappare dal morso feroce dell’estate, rifugiandosi su qualche bella spiaggia o nascondendosi all’ombra delle fresche cime alpine, la liturgia della madre chiesa ci invita a celebrare la festa del Corpus Domini meditando su uno dei più famosi miracoli di Gesù.
La versione di Luca sottolinea alcune caratteristiche interessanti di questo brano. La prima cosa che balza all’occhio è che sono gli apostoli, e non Gesù, ad accorgersi che è ora di rimandare le folle a casa affinché possano riposare e mangiare qualcosa. La risposta del maestro è decisamente sorprendente: «Voi stessi date loro da mangiare». I dodici hanno solo cinque pani e due pesci, una merenda per due persone. Come possono sfamare cinquemila uomini? Sono attenti, premurosi, generosi, coraggiosi… ma non hanno ancora capito la logica del Regno: non si tratta di comprare, ma di condividere. La logica del regno è diversa da quella del buon senso. I dodici sono chiamati a giocarsi in prima persona, a scardinare le loro logiche, a rinnovare i loro criteri di giudizio. Questa è la conversione costante che tutti, ma proprio tutti, siamo chiamati a vivere.
Mi piace sottolineare un particolare: il problema non è il quanto, ma il dove. Mi spiego: quei pani e quei pesci sono un nulla se custoditi gelosamente nella bisaccia, ma sono una potenza se messi nelle mani di Gesù. È il dove che fa la differenza: quello che metto nelle mani di Gesù si moltiplica, mentre ciò che tengo per me ammuffisce. Così è la vita: se la tengo per me marcisce, se la dono fiorisce. A te la scelta.
Se leggiamo con attenzione il testo, ci rendiamo conto che non si parla mai di moltiplicazione. Nessun evangelista dice che Gesù moltiplica i pani e i pesci. Il vero miracolo del maestro non quello di “moltiplicare”. Gesù è come quelle meravigliose mamme peruane che da una piccola pentola riescono a sfamare una famiglia intera, e magari avanzare qualcosa da condividere anche con il vicino! Gesù condivide, spezza e dona. Il miracolo è quello dell’amore che non si appropria, che non vanta diritti di possessione, ma che condivide gratuitamente e generosamente.
L’evangelista ricorda che avanzarono dodici ceste di pane. Dodici, come i mesi dell’anno e le tribù di Israele. Questo pane è per sempre e per tutti, è il pane che sazia la nostra fame, è il pane che nutre il cammino di tutti gli affamati di verità e di giustizia, è il pane condiviso e spezzato dalle mani di Gesù.

Vieni, Spirito Santo

Vieni, Spirito Santo,
rinnova la tua Chiesa,
infiammaci di passione e di umiltà.
Riempi i nostri cuori
di speranza e di gioia;
allontanaci dalle sicurezze del porto
e facci innamorare del mare aperto.

Vieni, Spirito Santo,
dona alla Tua Chiesa
discepoli che profumino di incenso e di strada,
allenati al silenzio e al dialogo,
capaci di parole audaci e pazienti;
uomini e donne che sappiano sfuggire
dalle false sicurezze del mondo
e si aprano allo sbaraglio della Tua chiamata.

Vieni, Spirito Santo,
dona alla Tua Chiesa
discepoli capaci di inquietudine
davanti al grido dei poveri;
uomini e donne capaci di incontri sinceri,
di dialoghi fraterni e sguardi accoglienti.

Vieni Spirito Santo,
dona alla Tua Chiesa
discepoli che portino il Tuo Vangelo
stampato nella vita,
impastato di quotidianità
e masticato nella preghiera;
uomini e donne che sappiano
annunciare il Vangelo di Gesù
con parole appassionate
e silenzi ospitali.

Vieni, Spirito Santo!

In cielo – Luca 24,46-53

Ascensione del Signore

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Me lo chiedo tutti gli anni: perché non è rimasto? C’era proprio bisogno di ritornare al Padre?
Voglio dire: non sarebbe stato tutto piú facile se Lui, risorto e bellissimo, fosse rimasto in mezzo a noi con il suo corpo trasfigurato dalla Croce e dalla Resurrezione? Sarebbe stupendo poter ascoltare la sua voce, sentire il suo profumo, vedere i suoi occhi e il suo sguardo…

Ma Gesú decide di ritornare nella comunione della Trinitá. Ci ha detto e dato tutto. Spremuto sul torchio della Croce, ha riempito i nostri calici vuoti con il vino spumeggiante della resurrezione. Dopo il brindisi iniziale dell’ultima cena, ci invia alla missione universale affinché tutti possano assaporare il vino buono della grazia e lasciarsi ubriacare dalla misericordia del Padre.

Gesù ritorna nella comunione della Trinità e si porta dietro tutta la nostra umanità, un uragano di luce e d’ombra, di passione e di miseria. Tutta la nostra bellezza e meschinità, Gesù se la porta dietro sedendosi nel suo trono glorioso alla destra del Padre. Nulla di ciò che è umano, è estraneo a Dio.
Lui conosce la tua fatica, il tuo dolore, il tuo smarrimento.
Lui sa che ce la stai mettendo tutta.
Lui conosce il dolore sordo dell’assenza, il silenzio fragoroso della morte, la vertigine improvvisa della malattia.
Lui è con te.
È salito ai cieli per scendere nel profondo delle viscere di tutta l’umanità, per salire sulle croci di tutti i crocifissi della storia, per camminare con qui si sente perso e masticato dalla vita, per prendere per mano chi non ha più forza.
È salito al cielo per soffiare nel cuore della sua Chiesa il dono dello Spirito, per riempire le nostre vele di passione e speranza, per spingerci fino ai confini della terra ed annunciare che Lui è vivo. Non c’è piú spazio per la paura, Lui é con noi. Sempre.

don Roberto Seregni

Se uno mi ama… – Giovanni 14,23-29

VI domenica di Pasqua

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Questa pagina di Giovanni mi commuove. Gesú si mette nelle mani dei suoi discepoli, apre il suo cuore, svela i misteri piú profondi di Dio e, soprattutto, chiede di essere amato.
Non basta dirsi cristiani, andare a Messa e confessarsi a Pasqua.
No, non basta.
Gesú ci prende sul serio: vuole discepoli innamorati, appassionati, liberi e maturi. Le mezze misure non piacciono al maestro: i tiepidi, quelli che non si decidono mai, quelli che tengono un piede dentro e uno fuori, solo danno nausea al maestro (Ap 3,15). Gesú vuol essere amato, niente di meno. Ed è proprio su questo punto che ognuno di noi deve valutare la sua vita di discepoli: sono innamorato di Gesú? Vado a Messa per rispettare le tradizioni famigliari o perché desidero ascoltare la Sua voce? Prego perché sento il bisogno di affidarmi a Lui o perché è meglio (come mi disse una signora) tener buono quello lassú?
Beh, mi sembra che tutti dobbiamo lavorare su questo punto…
Ma c’è una domanda importante che non possiamo tralasciare: come possiamo sapere se davvero amiamo Gesú? Ci sono molti cammini, certo. Ma in questo testo è Gesú stesso a darci una risposta molto chiara: “Se uno mi ama, osserverà la mia Parola”. Il criterio è chiaro: lo amo se vivo la Parola. Posso dire di essere innamorato di Gesú, ma se tratto i miei vicini di casa come zerbini, significa che non ho capito un tubo. Posso dire di essere un buon cristiano, ma se non so perdonare, mando tutti a quel paese, mi preoccupo solo dei fatti miei, è evidente che non sono per nulla sintonizzato con la Parola.
Potrei fare altri cento esempi, ma penso sia chiaro cosa vuol dirci il maestro: è la vita che fa la differenza, sono le nostre scelte quotidiane che rivelano se siamo suoi o no.
Solo la sua Parola puó darci quella leggerezza e libertá di cui abbiamo bisogno giorno per giorno per vivere come veri discepoli, innamorati di Lui e pronti per ricevere il dono dello Spirito.